Nunzio Quarto, costruttore di ali - Artisti della Permanente 2009
Nunzio Quarto, Costruttore di ali - Artisti della Permanente - Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, Milano 2009
Un sofisticato poeta dell'istinto
di Giorgio Seveso
Ho già scritto in altre occasioni come Nunzio Quarto sia un artista assolutamente fuori dal gioco delle tendenze e delle poetiche, un outsider limpido e autentico, ogni sua risorsa volta ad una continua, appassionata, intensa fantasticazione sulle forme. Non per niente, anni fa, avevo intitolato un testo a lui dedicato "L'istinto della forma", intendendo con questo appunto la sorgiva, istintiva spontaneità con la quale Nunzio maneggia la sua immaginazione plastica, tra vive memorie di una natura germinale (fiori, semi, germogli, colombe eccetera) e una cosmogonia sospesa sul mito e sulla presenza del trascendente in ogni materia e in ogni segno. È, come si dice, un creatore che si è fatto da sé. Artisticamente autodidatta pure se ha compiuto studi accademici, poeticamente e liricamente ispirato, ha sviluppato negli anni dentro di sé un particolarissimo, straordinario nucleo di sensibilità plastica e narrativa che si nutre di suggestioni rare, preziose, ricavate dalle radici contadine della sua fanciullezza, dal rapporto con la terra, con la natura, con le pene e le gioie di una vita ormai quasi dimenticata. Il suo lavoro gli somiglia, dando l'impressione, quasi fisica, di una grande forza unita a una profonda tenerezza: di una energia robusta, a momenti brutale, unita a una delicatezza sottile e nervosa. Il fervore che lo sostiene e che l’ha sempre sospinto, dalle primissime prove di più ingenua e basica impronta figurativa fino alle forme sode e concluse di oggi, è carico di lirismo e di pietas- per le cose del mondo, per gli accadimenti della natura, degli uomini, della vita.
Ho detto “istinto”. E difatti si potrebbe ben definire, la sua, una scultura istintuale, sorgiva, che sgorga cioè, senza mediazioni né traduzioni, distillata da uno stato dell’animo, dal calore del ricordo, dall’intensità del sentimento. Una scultura, anche, di confine, in cui magicamente forme e immagini archetipiche, germinazioni, baccelli e fiori, tracce di ritratti, presenze d’angeli, frullare di ali, s’inventano un linguaggio tutto loro, posto si potrebbe dire alla confluenza tra Boccioni e Brancusi, immerso in una particolare luce sacrale e monumentale, flagrante d’ombra e di chiarore, di patine e superfici dense di valori tattili, di fisicità tanto crude quanto intriganti e sofisticate.
Nunzio Quarto è un artista il quale, pur maneggiando e padroneggiando un repertorio fomale ed espressivo di ormai decisa attualità plastica, in cui importante ed evidente è il ruolo della formalizzazione, non ha mai rinunciato tuttavia a ricercare per le sue immagini una evidenza soda e precisa, a impegnarsi perché le sue opere riescano davvero a comunicare. E direi che ciò accade in primo luogo per la costante allusività figurativa che, a differenza di altri autori, è rimasta attiva nelle sue elaborazioni. Difatti, le stilizzazioni e le geometrizzazioni che sotto le sue mani percorrono il metallo o il marmo non appaiono mai fini a se stesse, non risultano mai ispirate esclusivamente alle mere ragioni del bello scultoreo o a quelle di una precisa e rigida sintassi stilistica, e si collegano invece, grazie alle misteriose vie della poesia, alle compatte sostanze affabulanti della figuratività.
Ma accade, soprattutto, perché di tutta evidenza non è solo la definizione della struttura plastica ad interessarlo. In altre parole, la sua formalizzazione dell’immagine non è mai meramente “formalistica”, e si riscalda invece al calore di un immaginario ben più complesso ed eloquente, in cui si ritrova, sì, lo spazio della ricerca ma anche si rinvengono una concentrazione, una meditazione, un fervore poetici precisi.
Ha scritto bene Giorgio Segato qualche anno fa che Quarto “restituisce in maniera originale e forte il senso della scultura come forma (. . .) assunta dai movimenti energetici e psichici: struttura organica non semplicemente o vagamente sensuale, ma modulazione lievitante di uno spazio di dilatazione percettiva ed emotiva”.
Certo, venendo da una formazione spiccatamente artigianale, Quarto s’è faticato da sé ogni sapere e ogni risultato, e difatti il suo rapporto con i materiali dell’immaginazione e dell’elaborazione lirica è un rapporto complesso, di scavo e di sintesi, che si regge su una profonda e, dicevo, istintiva, connaturata perizia tecnica, che vive soprattutto al livello di rapporto affettivo, di coinvolgimento emozionale con il sentimento stesso dell’esistere e della vita. Per questo il suo lavoro si svolge secondo lente e assorte maturazioni tematiche che, con approfondimenti, riprese, nuove intuizioni e ritorni, innescano, appunto, la fantasia, la dilatazione e la metafora interna alle forme stesse, e trascinano suggestivamente le tensioni tattili e plastiche della scultura in un largo, suggestivo territorio evocativo.
Né “figurativi” né “astratti”, dunque, il suo accento espressivo e il suo gesto creativo si muovono a tutto campo in appassionante libertà di ricerca, felicemente priva di modelli e soprattutto di concessioni opportunistiche. E il tempo e la memoria, colti appunto in tempo reale sull’onda degli accordi e dei contrasti di superfici e di volumi, vengono a costituire il tessuto connettivo della sua espressione. Come per una sorta di trasferimento, o estraneazione, o sublimazione, essi richiamano magie che più che antiche sono eteme, archetipi intensi, connaturali all’uomo e ai suoi sentimenti, alla sua emozione del vivere, del pensare, dell’immaginare.